Lo stato si nasconde dietro le Br e con la P2 uccide Moro
Grassi: «Il percorso del presidente quella mattina cambia»
domenica 26 giugno 2016
14.20
Lo stato quella mattina passava in motocicletta da via Fani e aveva le chiavi dell'appartamento rifugio delle Brigate rosse. Tante storie sono state raccontate e tante altre se ne racconteranno per tentare di spiegare uno degli omicidi politici della Prima Repubblica. L'onorevole Gero Grassi è uno dei componenti della commissione che studia il caso Moro e nei suoi giri per l'Italia ha fatto tappa nella sede dell'Unitalsi a Margherita di Savoia. Ormai è noto che il 16 marzo di 38 anni fa a Roma le Br non erano sole e non hanno mai agito da sole. La dimostrazione è subito pronta proprio il giorno del rapimento: al crocicchio fra via Fani e via Stresa si fermava sempre il furgoncino del fioraio Antonio Spiriticchio, quella mattina però non c'era perché dei brigatisti gli avevano forato le ruote. Al suo posto c'era una Austin Mortis targata T50354, auto che ha impedito di svoltare all'Alfetta targata "Roma S93393" con la scorta e la Fiat 130 targata "L59812", che non ha mai tamponato la Austin, con a bordo il presidente della Dc. Il Maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi (52 anni), l'appuntato e autista Domenico Ricci (42 anni), le guardie di pubblica sicurezza Giulio Rivera e Raffaele Iozzino (24 e 25 anni) sono stati uccisi perché collaboratori di vecchia data di Moro, mentre il vicebrigadiere Francesco Zizzi (30 anni) è stato solo ferito perché fresco di nomina e quindi non sapeva nulla che potesse scottare. Ciò che ha insospettito di quella vettura era l'appartenenza alla società Poggio delle Rose collegata ai Servizi Segreti italiani e con sede in via Libertà 10, dove anche l'agenzia immobiliare Gradoli aveva la sua sede. Questa agenzia aveva degli appartamenti nella via che porta il suo stesso nome e proprio in uno di questi era detenuto Moro.
Insomma, una vicenda che va ben oltre della favoletta raccontata a scuola, di un gruppo di estremisti di sinistra che un giorno si arma di mitraglietta Skorpion e uccide il presidente e i suoi uomini. Una vicenda, quindi, che coinvolge Ior (banca vaticana), forze dello stato, carabinieri, imprese, politici affiliati alla P2 (la setta massonica Propaganda 2 con a capo Licio Gelli) e non, che vede le Br come esecutori degli omicidi ma come teorici c'erano i signori dello stato, parte dei quali la mattina del 16 marzo 1978 stavano votando la fiducia al governo di Giulio Andreotti. Un governo diverso da quelli della Democrazia Cristiana avuti dal 1946 a quel momento, perché: «Moro opera il raccordo del Pci all'area di Governo», ha affermato Marco Barbone uno dei maggiori esponenti di quelle Br che subito dopo la fine dell'operazione Fritz (così da loro nominata per il ciuffo bianco di Moro) hanno pensato che forse è stato un errore uccidere l'unico politico italiano dell'area di destra (anche se la Dc in realtà ha raccolto un'ampia fascia di schieramenti) che avrebbe permesso ai comunisti di governare. I giornali di destra hanno dato il loro contributo e già da qualche anno hanno iniziato con titoli allusivi come quello dell'Osservatore Politico: «È proprio il solo Moro il Ministro che deve morire?». Un uomo scomodo perché voleva i comunisti con se al governo visto che raccoglievano ampi consensi in Italia. Uno statista ucciso il 9 maggio del 1978 dopo 55 giorni di prigionia (poi ritrovato nel cofano di una Renalult 4 rossa dov'è stato messo già morto e piazzato non a caso in via Michelangelo Castani angolo fra le Botteghe oscure sede del Pci e la piazza del Gesù sede della Dc) perchè scomodo anche ad America e Russia, i primi temevano che facendo andare i comunisti al governo avrebbero scoperto i segreti della Nato, mentre i secondi temevano che i comusti avrebbero dato il messaggio che si sarebbe potuto arrivare al potere anche senza l'uso delle armi.
Insomma, una vicenda che va ben oltre della favoletta raccontata a scuola, di un gruppo di estremisti di sinistra che un giorno si arma di mitraglietta Skorpion e uccide il presidente e i suoi uomini. Una vicenda, quindi, che coinvolge Ior (banca vaticana), forze dello stato, carabinieri, imprese, politici affiliati alla P2 (la setta massonica Propaganda 2 con a capo Licio Gelli) e non, che vede le Br come esecutori degli omicidi ma come teorici c'erano i signori dello stato, parte dei quali la mattina del 16 marzo 1978 stavano votando la fiducia al governo di Giulio Andreotti. Un governo diverso da quelli della Democrazia Cristiana avuti dal 1946 a quel momento, perché: «Moro opera il raccordo del Pci all'area di Governo», ha affermato Marco Barbone uno dei maggiori esponenti di quelle Br che subito dopo la fine dell'operazione Fritz (così da loro nominata per il ciuffo bianco di Moro) hanno pensato che forse è stato un errore uccidere l'unico politico italiano dell'area di destra (anche se la Dc in realtà ha raccolto un'ampia fascia di schieramenti) che avrebbe permesso ai comunisti di governare. I giornali di destra hanno dato il loro contributo e già da qualche anno hanno iniziato con titoli allusivi come quello dell'Osservatore Politico: «È proprio il solo Moro il Ministro che deve morire?». Un uomo scomodo perché voleva i comunisti con se al governo visto che raccoglievano ampi consensi in Italia. Uno statista ucciso il 9 maggio del 1978 dopo 55 giorni di prigionia (poi ritrovato nel cofano di una Renalult 4 rossa dov'è stato messo già morto e piazzato non a caso in via Michelangelo Castani angolo fra le Botteghe oscure sede del Pci e la piazza del Gesù sede della Dc) perchè scomodo anche ad America e Russia, i primi temevano che facendo andare i comunisti al governo avrebbero scoperto i segreti della Nato, mentre i secondi temevano che i comusti avrebbero dato il messaggio che si sarebbe potuto arrivare al potere anche senza l'uso delle armi.